Pubblichiamo un interessante articolo apparso oggi su "Il Fatto Quotidiano" a firma di
Marco Travaglio.
Ebbene sì, anche l'Italia ha il suo Napoleone...o come scrive oggi il Travaglio, il suo "Napolione", a voi scoprire di chi si tratta.
NAPOLIONE
di Marco Travaglio
Mai
fare battaglie di principio nel paese dei conflitti d’interessi e degli
ideali di bottega. Domenica abbiamo scritto che la condanna in appello
di Alessandro Sallustia 14 mesi di carcere senza la condizionale per un
articolo diffamatorio scritto da un altro dimostra ancora una volta
l’indecenza di una politica che non ha mai voluto riformare la
diffamazione per rendere la stampa ancor più serva e ricattabile. E che
il caso particolare, prima della sentenza di domani della Cassazione,si
può risolvere in un solo modo:Sallusti risarcisca i danni e chieda scusa
al giudice diffamato,nella speranza che questi ritiri laquerela. Subito
i soliti noti ne hanno approfittato per sparare sui magistrati che
osano querelare chi li diffama (come se non fosse un sacrosanto diritto
di ogni cittadino); per evidenziare che in Italia querelano più che
negli altri paesi (e per forza:negli altri paesi B.non ha processi né
possiede giornali o tv);per invocare un decreto ad Sallustem o un
provvedimento di grazia (ancor prima della condanna definitiva); per
gabellare le diffamazioni –anche quelle dolose e reiterate – per “reati
di opinione”; per attaccare i giudici d’appello che han condannato
Sallusti applicando la legge esistente;per scatenare ridicole campagne
innocentiste con la scusa che “l’articolo non l’ha scritto Sallusti”
(già,ma allora chi l’ha scritto dovrebbe avere la decenza di uscire allo
scoperto e dichiarare che la boiata diffamatoria è Farina del suo
sacco, anziché lasciar condannare un altro al posto suo). Poteva
mancare,in questo guazzabuglio, l’interferenza del Quirinale?No che non
poteva. Infatti il solerte portavoce del Colle, Pasquale Cascella,ha
perso l’ennesima occasione per tacere, twittando che il presidente
Napolitano, “segue il caso” Sallusti e “si riserva di acquisire tutti
gli elementi di valutazione”. Così i cinque giudici di Cassazione che
domani dovranno pronunciarsi sulla condanna del direttore del Giornale
sanno che il Presidente della Repubblica li tiene d’occhio. E che, se
dovessero decidere per la conferma della sentenza d’appello,
entrerebbero in rotta di collisione con il presidente del Csm da cui
dipendono le loro carriere e i loro procedimenti disciplinari. Dicevano i
latini, quando Roma era ancora la capitale del diritto e non del
rovescio, che il giudice deve decidere secondo legge e coscienza sine spe ac metu:senza
aspettarsi premi né rappresaglie in conseguenza delle loro sentenze.
Dopo l’improvvido tweet del Quirinale, sul capo dei magistrati della
Suprema Corte pende un metus grosso così. E non è la prima volta. Nel
2006,quando i giudici di Potenza arrestarono Vittorio Emanuele di
Savoia,Napolitano chiese tutti i dossier disciplinari a carico del pm
Woodcock. Nel 2008,quando la Procura di Salerno perquisì gli uffici
giudiziari di Catanzaro che avevano sabotato il pm De Magistris e
insabbiato le sue indagini,Napolitano chiese gli atti della
perquisizione addirittura prima che fosse conclusa. E,nell’aprile
scorso, trasmise le sue lagnanze di Mancino al Pg della Cassazione
perché indirizzasse nel senso da lui auspicato le indagini di Palermo
sulla trattativa Stato-mafia tramite Piero Grasso. Non si sa chi abbia
messo in testa a Napolitano di essere il capo della magistratura,
autorizzato a pilotare indagini e sentenze,manco fosse Napoleone.
Qualcuno dovrebbe spiegargli che è solo il presidente dell’organo di
autogoverno dei magistrati,che è collegiale,si riunisce in date
prefissate, dev’essere informato delle iniziative del suo presidente e
soprattutto non può dire ai magistrati quello che devono o non devono
decidere.Può solo stabilire(il Csm,non il presidente da solo), a
posteriori,se quel che hanno fatto è abnorme o viola il codice
disciplinare.E,quando qualcuno interferisce nella loro attività,deve
aprire pratiche a loro tutela.Ora non vorremmo che il Csm dovesse aprire
una pratica per tutelare i giudici dal presidente del Csm.
da "il Fatto Quotidiano" 25.09.2012
martedì 25 settembre 2012
mercoledì 19 settembre 2012
venerdì 14 settembre 2012
LA SECESSIONE "DEL" E "DAL" VENETO
da "La Tribuna di Treviso" 14.09.2012
di Luciano Dussin*
La secessione "del e dal" Veneto sembra essere una contraddizione nei termini, così non è. La secessione "del" Veneto dallo Stato italiano è nelle attese di molti veneti. La secessione "dal" Veneto è in atto da alcuni anni e riguarda
la fuga delle aziende che se ne vanno all'estero. Il soggetto determinante queste situazioni non sta a casa nostra, ma alberga (comodamente) a Roma:è lo Stato italiano.L'insostenibilità delle preteseeconomiche che lo Stato ha nei confronti dei cittadini veneti fa lievitare sempre più la voglia di indipendenza; contemporaneamente, con la tassazione più alta del mondo occidentale, mette fuori mercato tutte le imprese costringendole alla fuga prima dell'inevitabile chiusura. Queste pretese sono quantificate in circa 15 miliardi di euro l'anno, vale a dire ben 3 mila euro l'anno procapite. Questo è il differenziale fiscale che colpisce il Veneto.
Ricordiamolo, Veneto,Emilia Romagna e Lombardiasono le tre regioni che mantengono buona parte delle rimanenti regioni. Ad esclusione di Piemonte, Toscana e Marche che si arrangiano da sole, le altre regioni sono tutte beneficiarie delle ricchezze depredate nel Veneto e in Emilia Romagna rispettivamente per 15 miliardi l'anno, e in Lombardia per ben 30
miliardi. Queste cifre risultano in negativo dalla differenza tra quanto irispettivi cittadini versano ai loro Comuni, alla loro Provincia, alla loro Regione, allo Stato, e quanto da questi ricevono in termini di servizi e investimenti. La Sicilia guadagnai' equivalente di quanto perde il Veneto, la Campania
si arrangia con i soldi degli Emiliani e così via. Un ottimostudio di Unioncamere del Venetoha fotografato queste ladronerie. Inutile dire che potendo recuperare queste cifre in Veneto la
crisi mondiale non sarebbe avvertita da nessuno. I nostri operai in cassa integrazione potrebbero prendere almeno 20 mila euro al mese, un comune comequello che tento di amministrare
io, Castelfranco Veneto, potrebbe spendere 90 milioni di euro in più ogni anno mentre oggi non riesce nemmeno a pagare l'energia elettrica. Pensate alla mole di lavori pubblici che potrebbe essere avviata, e i conseguenti risparmi che ne deriverebbero se si investisse nelcontenimento energetico, viario,
ferroviario. La storia insegna che a fronte delle leggi dei signorotti di turno quando la popolazione si ribellava per l'insostenibilità delle gabelle che questi pretendevano, i signorotti morivano... La forza
dello Stato italiano nei confrontidel Veneto trova alleati nel fatalismo e nel servilismo che purtroppo anima ancora buona parte degli stessi veneti. Non che questo sia destinato a durare per
sempre, il passato è ricco di rivolte e ribellioni, però, ad oggi, manca quello spirito di corpo
che dovrebbe intimorire lo Stato per il suo modo di depredare delle nostre ricchezze.
Leggo i timori di alcuni veneti, anche portatori di interessi comuni, nei confronti delle proposte
di autonomia che sempre più forti arrivano dal nostro territorio.
Temono i referendum, temono che prevalga la voglia di autogovernarsi, si nascondono
dietro agli articoli della Costituzione come fossero di dogmi religiosi
e non frutto di un patto fra uomini destinato a cambiare quando gli stessi ne ravvisassero
la necessità. Vorrei chiedere ai tanti servi di casa nostra che inqueste ore hanno criticato il Presidente
Luca Zaia per il suo interessamento alle istanze di libertà che registra nel territorio che governa, se c'è qualche articolo nella Costituzione italiana che giustifichi la rapina di 15 miliardi di euro che annualmente devono subire i Veneti da parte dello Stato italiano. Questo articolo non lo troveranno, ma continueranno a non capire. Intanto le imprese se ne vanno. Per esse la secessione è vita. Chissà, un giorno, levati dai piedi i servi, forse qualcuno, nei confronti di questo Stato, avrà modo di ricordare il vecchio detto: chi troppo vuole nulla stringe. Sta a noi decidere se tornare alla povertà o
difendere le nostre conquiste sociali ed economiche.
*Sindaco di Castelfranco Veneto
di Luciano Dussin*
La secessione "del e dal" Veneto sembra essere una contraddizione nei termini, così non è. La secessione "del" Veneto dallo Stato italiano è nelle attese di molti veneti. La secessione "dal" Veneto è in atto da alcuni anni e riguarda
la fuga delle aziende che se ne vanno all'estero. Il soggetto determinante queste situazioni non sta a casa nostra, ma alberga (comodamente) a Roma:è lo Stato italiano.L'insostenibilità delle preteseeconomiche che lo Stato ha nei confronti dei cittadini veneti fa lievitare sempre più la voglia di indipendenza; contemporaneamente, con la tassazione più alta del mondo occidentale, mette fuori mercato tutte le imprese costringendole alla fuga prima dell'inevitabile chiusura. Queste pretese sono quantificate in circa 15 miliardi di euro l'anno, vale a dire ben 3 mila euro l'anno procapite. Questo è il differenziale fiscale che colpisce il Veneto.
Ricordiamolo, Veneto,Emilia Romagna e Lombardiasono le tre regioni che mantengono buona parte delle rimanenti regioni. Ad esclusione di Piemonte, Toscana e Marche che si arrangiano da sole, le altre regioni sono tutte beneficiarie delle ricchezze depredate nel Veneto e in Emilia Romagna rispettivamente per 15 miliardi l'anno, e in Lombardia per ben 30
miliardi. Queste cifre risultano in negativo dalla differenza tra quanto irispettivi cittadini versano ai loro Comuni, alla loro Provincia, alla loro Regione, allo Stato, e quanto da questi ricevono in termini di servizi e investimenti. La Sicilia guadagnai' equivalente di quanto perde il Veneto, la Campania
si arrangia con i soldi degli Emiliani e così via. Un ottimostudio di Unioncamere del Venetoha fotografato queste ladronerie. Inutile dire che potendo recuperare queste cifre in Veneto la
crisi mondiale non sarebbe avvertita da nessuno. I nostri operai in cassa integrazione potrebbero prendere almeno 20 mila euro al mese, un comune comequello che tento di amministrare
io, Castelfranco Veneto, potrebbe spendere 90 milioni di euro in più ogni anno mentre oggi non riesce nemmeno a pagare l'energia elettrica. Pensate alla mole di lavori pubblici che potrebbe essere avviata, e i conseguenti risparmi che ne deriverebbero se si investisse nelcontenimento energetico, viario,
ferroviario. La storia insegna che a fronte delle leggi dei signorotti di turno quando la popolazione si ribellava per l'insostenibilità delle gabelle che questi pretendevano, i signorotti morivano... La forza
dello Stato italiano nei confrontidel Veneto trova alleati nel fatalismo e nel servilismo che purtroppo anima ancora buona parte degli stessi veneti. Non che questo sia destinato a durare per
sempre, il passato è ricco di rivolte e ribellioni, però, ad oggi, manca quello spirito di corpo
che dovrebbe intimorire lo Stato per il suo modo di depredare delle nostre ricchezze.
Leggo i timori di alcuni veneti, anche portatori di interessi comuni, nei confronti delle proposte
di autonomia che sempre più forti arrivano dal nostro territorio.
Temono i referendum, temono che prevalga la voglia di autogovernarsi, si nascondono
dietro agli articoli della Costituzione come fossero di dogmi religiosi
e non frutto di un patto fra uomini destinato a cambiare quando gli stessi ne ravvisassero
la necessità. Vorrei chiedere ai tanti servi di casa nostra che inqueste ore hanno criticato il Presidente
Luca Zaia per il suo interessamento alle istanze di libertà che registra nel territorio che governa, se c'è qualche articolo nella Costituzione italiana che giustifichi la rapina di 15 miliardi di euro che annualmente devono subire i Veneti da parte dello Stato italiano. Questo articolo non lo troveranno, ma continueranno a non capire. Intanto le imprese se ne vanno. Per esse la secessione è vita. Chissà, un giorno, levati dai piedi i servi, forse qualcuno, nei confronti di questo Stato, avrà modo di ricordare il vecchio detto: chi troppo vuole nulla stringe. Sta a noi decidere se tornare alla povertà o
difendere le nostre conquiste sociali ed economiche.
*Sindaco di Castelfranco Veneto
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